Piccoli o grandi ospedali? La speranza di essere curata

Tempo fa riflettevo sulla questione “ ospedali piccoli, di provincia – ospedali grandi” e cercavo di capire cosa è giusto…se tagliare le piccole strutture, chiuderle per potenziare i grandi ospedali e razionalizzare la spesa sanitaria…o mantenere in piedi i piccoli ospedali comodi alle persone che ci abitano vicino, soprattutto anziani, bambini e famiglie…e devo dire che da giornalista ed “esterna” propendevo per la prima ipotesi…oggi da “interna” dopo l’esperienza che mi è capitata questa estate con la frattura di 4 dita del piede e la sub amputazione di una falange nell’ospedale di Chioggia devo assolutamente ricredermi e dire GRAZIE in particolare a due medici che mi hanno seguito e curato bene e con amore della propria professione. Parlo in particolare del dottor Tiozzo responsabile del pronto soccorso dell’ospedale di Chioggia e dell’ortopedico dottor Menegazzo ai quali va un plauso da paziente e da giornalista e un grazie per avermi salvato un piede ridotto male dopo un incidente tra la moto dove ero trasportata e una macchina che mi ha schiacciato e tagliato le dita del piede sinistro.

Era il 10 luglio scorso  e l’incidente avveniva a Valli di Chioggia di ritorno da Sottomarina. Tralascio di raccontare tutte le traversie che mi sono capitate perché le scriverò successivamente. Quello che posso raccontare è che di fronte ad un’emergenza, ad un dito che POTEVA e sottolineo poteva essere salvato e riattaccato, solo la buona volontà accanto alla professionalità di un medico svegliato nel cuore della notte tra sabato e domenica hanno fatto sì che oggi ho tutte le cinque dita del piede sinistro anche se una di queste dita è più corta e malconcia. Di fronte a questa emergenza, visto che si trattava di un piede e del dito di mezzo ( il meno importante ai fini dell’equilibrio e del rimborso assicurativo) nessun ospedale del Nord Italia contattato dal Pronto Soccorso di Chioggia, sulla base del quadro clinico prospettato, si è preso la briga la domenica mattina di operarmi e di tentare di salvare il dito. Come risposta il fatto che un nosocomio era più specializzato nella mano, uno che il quadro clinico era già scritto e che non si poteva salvare il dito, un altro che era più conveniente per evitare problemi successivi amputare il dito che tanto “ poco serviva” per l’equilibrio. Seduta sulla barella del pronto soccorso con un sacco di male in corpo sentire queste parole mi ha gelato e mi ha davvero gettato nello sconforto. Neanche un giro a proprie spese in taxi alle 4 del mattino dall’ospedale di Chioggia a quello di Padova per tentare di farsi operare in un nosocomio importante, ultra blasonato, che conoscevo è servito a qualcosa. Anche qui non c’era nessuno disposto ad operarmi. L’unica alternativa che avevo era dunque ritornare sempre da esterna nell’ospedale di Chioggia dove il dott. Menegazzo con grande umiltà mi aveva detto prima di partire per Padova . “ Vada a Padova che è un ospedale più servito e dove ci sono specialisti capaci di operare anche i casi più difficili. Se però nessuno la vuole operare io se vuole ci provo e cerco di salvarle il dito” . E così è stato.

Alle 9.30 del mattino di domenica dopo aver dormito qualche ora dopo la mia emergenza notturna il dott. Menegazzo ha imbracciato camice e mascherina e mi ha operato dandomi 9 punti, infilando due fili di kirschner su due dita, togliendo una piccola falange dal dito incriminato e prescrivendomi 32 sedute urgenti di camera iperbarica per ossigenare il dito sub amputato. Oggi dopo oltre un mese e mezzo di ossigenoterapia, di visite ortopediche, di medicazioni, di stampelle e scarpa ortopedica attendo con gioia la rimozione dei fili e la riabilitazione per tornare a camminare abbastanza normalmente. Il dito incriminato è abbastanza rigido, bruttino esteticamente ma almeno c’è e sta bene.  

    E il merito va ai due medici che mi hanno seguito, che hanno creduto al loro lavoro, che hanno voluto aiutarmi e curarmi, nonostante l’emergenza, il quadro clinico, l’estate, il week end , la dimensione dell’ospedale e senza avere un cognome blasonato nel mondo sanitario del Nordest. Di qui il mio ricredermi di fronte alla questione piccoli/ grandi ospedali e un appello al mondo sanitario e ai medici perché ricordino il famoso giuramento di Ippocrate e soprattutto che di fronte a loro arrivano persone e non numeri, giovani, anziani, bambini…comunque malati o bisognosi di cure che si affidano a loro perché altro non possono fare. E con la speranza di guarire e di stare bene perché di fronte a loro hanno un medico che ha studiato e fatto anni di specializzazione proprio per cercare di guarire le persone. Almeno cercare di guarirle. La speranza non si nega a nessuno.

 

2 Risposte

  1. Senza dubbio un’esperienza diretta della disponibilità e professionalità (direi dell’eroico coraggio…) di molti medici ed infermieri, restituisce un’immagine della sanità pubblica diversa da quella colpevolmente e consapevolmente fornita dai media. La salute e la cura vengono considerate acquisite, garantite, mentre sono il frutto di un lavoro profondo di studio, conoscenza, organizzazione ed applicazione. Si vorrebbe che dalla bocca del medico uscissero solo assicurazioni e certezze, che fosse disponibile 36 ore al giorno e sempre con un sorriso stampato sulle labbra. Sono uomini che faticano e a volte sbagliano, ma che per la quasi totalità vivono la consapevolezza di avere di fronte un altro se stesso, sia che si tratti si salvare un dito, un arto o la possibilità di fargli ammirare nuovamente l’alba. Ho per esperienza personale assaggiato la loro disponibilità, sensibilità e attenzione, e in un reparto complicato, dove ciascun malato aveva una sentenza di morte sulla cartella clinica. Ho sentito il sapore dolce della prossimità stemperare il sapore amaro del dolore e di questo non potrò mai dir loro un grazie sufficientemente pieno…Una considerazione ulteriore sulle strutture. I grandi centri di eccellenza sono fondamentali per la cura di patologie complessa e per la formulazione di protocolli di cura, supportanti da studi su ampi campioni di malati, da poter fornire alle strutture minori o periferiche. Questo, se da un lato richiede di orientare consistenti risorse economiche sui centri di eccellenza, al contempo definisce la necessità di avere a disposizione strutture più agili e prossime al cittadino per la cura di patologie più lievi ma che necessitano di un rapporto costante e continuativo con la struttura (pensiamo alle cure in lungodegenza o alla necessità di frequenti controlli dei malati ematologici…). Data la professionalità e dedizione dei medici sta alla politica definire criteri di organizzazione che coniughino il sano utilizzo delle risorse con il bisogno di salute e cura di ogni cittadino…sia che si chiami Mario Rossi (stereotipo dell’uomo anonimo…) che Valentino Rossi… Grazie Michela per l’occasione di riflettere sull’argomento…

  2. leggo con molto piacere e curiosità le due testimonianze e ringrazio michela per aver accolto la mia richiesta; spero si apra u n dibattito, anche con testimonianze e contributi importanti.
    ancora grazie e a presto

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